“La nostra attenzione al biologico è maniacale, tanto che tutta l’azienda è a conduzione biologica. Siamo una piccola realtà e facciamo tutto in casa: dalla coltura della vite fino all’etichettatura. I vigneti sono di proprietà e abbiamo così il controllo completo sulla catena produttiva”, afferma con orgoglio il giovane vigneron Joska Biondelli.

FOTO Joska

Siamo nella cantina Biondelli, a Bornato di Cazzago San Martino, nella parte della Franciacorta a Sud del Lago d’Iseo, dove i terreni sono certificati come biologici. I vigneti sono 5, e ognuno ha un proprio nome. Si estendono per 10 ettari coltivati a guyot, dei quali le bottiglie sono degli ambasciatori: Franciacorta Brut, Franciacorta Satèn e il Biondelli Brut Millesimato “Première Dame”.

“Non utilizziamo alcun additivo chimico, nessun trattamento che permei la pianta – precisa Biondelli –. Usiamo solo rame e zolfo. L’ultimo trattamento viene effettuato l’ultima settimana di luglio, e per un mese e mezzo, poi, l’uva non viene più trattata e le piogge la lavano. La raccolta viene fatta a mano come da Disciplinare. Le cassette, da 15 -16 kg al massimo, sono molto piccole ed è facile controllare che non ci finiscano dentro foglie o detriti, gli operatori, gli stessi da tanti anni, conoscono bene sia i vigneti sia il lavoro.

Secondo il metodo classico, in Franciacorta, così come in Champagne, pigiamo l’uva intera, non diraspiamo, quindi non rechiamo danno agli acini prima della pressatura. Le presse, poi, sono estremamente delicate e riescono a schiacciare gli acini senza rovinare il gambo. Nella cassetta prima e nella pressa poi non arriva nessuna traccia di sostanze chimiche e di prodotti non naturali. Alla produzione di uva biologica segue la vinificazione biologica. I lieviti che impieghiamo sono tutti biologici, non adoperiamo carbone, né filtri, né pvpp, cioè quello stabilizzante che previene o corregge gli inconvenienti dovuti ai processi ossidativi possibili nel corso della vinificazione e, soprattutto, della conservazione dei vini”.

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Seconda fermentazione: sinfonia molecolare, presa di spuma, magia dell’effervescenza. Generalmente qualche giorno prima del tiraggio i produttori aggiungono in bottiglia lo zucchero che servirà come nutrimento ai lieviti per innescare la seconda fermentazione. La soluzione di vino, zucchero e lieviti viene messa in bottiglie, chiusa con una bidule e un tappo a corona in acciaio Inox. “Invece dello zucchero o del saccarosio noi utilizziamo il mosto refrigerato della vendemmia precedente: un procedimento laborioso, rischioso e costoso – spiega Biondelli –. Tutto ciò ci consente di affermare che il 99,9% del contenuto in bottiglia viene dal nostro vigneto in maniera naturale.

La sublimazione della genuinità dei nostri prodotti la troviamo nel Millesimato Première Dame, un vino nature, a cui non vengono addizionati né zucchero, né liqueur, né solfiti aggiunti. Raccomando, infatti, di bere la bottiglia entro 6 mesi, un anno dall’acquisto”. Questo Millesimato consente di conoscere un’annata scevra da assemblaggi (ndr: anche se il disciplinare permette di usare l’85% del vino della stessa annata per i Millesimati, Joska ne utilizza una percentuale del 100%).

Su Brut e Satin, invece, ci sono soltanto 15 ml per litro di solfiti aggiunti.

FOTO NONNINelle etichette create da Joska insieme al padre Carlottavio è presente lo stemma dei Biondelli. Le origini della famiglia si ritrovano, infatti, nel patriziato cittadino di Piacenza, ai tempi del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Durante il secondo conflitto mondiale Giuseppe Biondelli, Ambasciatore d’Italia, incrocia poi la Franciacorta. “La nonna Clemi veniva dalla famiglia dei Conti Maggi di Gradella, una famiglia bresciana da circa mille anni – racconta il giovane imprenditore con tono pacato e tanto aplomb –. La nonna Clementina si sposa con il nonno, Giuseppe Biondelli, un pesarese che aveva girato il mondo perché faceva il diplomatico. Lei non voleva andar via da Brescia, e così il nonno comprò la casa in campagna che lei non aveva più perché era rimasta al fratello.

FOTO VillaLa villa e il terreno agricolo, a Bornato, sono le stesse proprietà di cui mi occupo io oggi. Si può proprio dire che siamo arrivati in Franciacorta per amore e grazie alla nonna Clementina. Oggi continuiamo a coltivare la terra con passione tenendo vivo il ricordo dei miei nonni, tanto che uno dei miei prossimi vini sarà dedicato a uno di loro, conclude Joska Biondelli.

FOTO Biondelli

Clementina Speranza

La Franciacorta

Con la locuzione “curtes francae” venivano designate le comunità di monaci benedettini che nell’Alto Medioevo avevano sede nella zona collinare nei pressi del Lago d’Iseo. Questi luoghi godevano di franchigie, cioè dell’esenzione dal pagamento dei dazi legati al commercio, perché i monaci, con la loro opera, avevano apportato notevoli migliorie ai terreni mediante bonifiche e avevano istruito gli abitanti circa le varie tecniche di coltivazione. Le origini del nome Franciacorta, inoltre, affondano le radici nel 1277, quando il toponimo “Franzacurta” viene riportato per la prima volta negli annali del Comune di Brescia per indicare quella specifica zona situata tra i fiumi Oglio e Mella, a sud del Lago d’Iseo.

Nel 1570 Gerolamo Conforti, un medico bresciano, redige il “Libellus de vino mordaci”, uno dei primi testi al mondo a descrivere il processo di vinificazione dei vini a fermentazione naturale in bottiglia e dove viene riportato quanto fosse esteso il consumo di vini briosi e spumeggianti, che Conforti definiva “mordaci”.

Nel 1967 viene sancita la DOC Franciacorta, divenuta poi DOCG nel 1995, con due importanti primati: è stata infatti la prima volta che un vino prodotto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia (Metodo Classico) ha ottenuto la DOCG ed è anche l’unica denominazione in Europa (insieme a Champagne e Cava). Questa tipologia può fregiarsi di riportare in etichetta il solo termine “Franciacorta”, come onnicomprensivo di area territoriale, metodo di produzione e vino.

Nel 2008 il Disciplinare è stato sottoposto a una revisione.

Il 5 Marzo 1990 venne fondato il “Consorzio per la Tutela del Franciacorta”, che ha sede a Erbusco.

Nel 1992, per scelta e impulso dei produttori della Franciacorta, fu iniziato lo studio di zonazione da parte dell’Università di Milano sotto la guida del Prof. Attilio Scienza, e sono state rilevate 6 “unità vocazionali”, cioè tipologie di terroir che determinano specifici comportamenti vegeto-produttivi e che influenzano in maniera peculiare il profilo sensoriale dei vini.

FOTO Franciacorta

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