I riflettori sono ora puntati sul nuovo approccio di “genere” nella ricerca, nella prevenzione, nelle terapie: una dimensione medica innovativa che studia come le differenze tra uomini e donne influiscono sulla cura delle malattie, per garantire a tutti il miglior trattamento. Una rivoluzione che investe ogni aspetto della Medicina e della ricerca, un nuovo paradigma che combina i dati genetici con le informazioni sulle malattie per ottenere diagnosi sempre migliori e terapie sempre più personalizzate, appropriate ed efficaci: è la Medicina di precisione. La Medicina di genere, uno dei capitoli più promettenti della Medicina personalizzata e di precisione, studia l’impatto specifico del “genere”, maschile e femminile, sullo sviluppo e l’evoluzione delle malattie, con l’obiettivo di assicurare a tutti, uomini e donne, il miglior trattamento possibile sulla base delle caratteristiche personali. “Il futuro della medicina si va articolando sempre di più attorno all’idea di precisione, con la promessa, che in qualche brillante caso è già realtà, di terapie sempre più mirate che rispondano non più tanto alla definizione generale di una malattia, quanto al suo concreto e singolare dispiegarsi nell’individuo – afferma Umberto Veronesi –. E questa idea di una sempre maggiore precisione e della personalizzazione della cura non può non investire un aspetto fondamentale dell’identità delle persone come quello legato al genere: capire pienamente quali siano le differenze di genere che influenzano maggiormente le malattie e le terapie è una delle grandi sfide della scienza del futuro”.

cacciatori_3Le differenze di genere influenzano molti aspetti della vita reale: un esempio è la preparazione fisica alle attività sportive, come testimoniato da Maurizia Cacciatori, già capitano della Nazionale di Pallavolo, modello vincente dell’approccio di genere nello sport.

Maurizia Cacciatori è il simbolo italiano della pallavolo nel mondo. É una delle giocatrici più vincenti di sempre a livello di club, con i suoi 17 trofei vinti in carriera.

É nata a Carrara il 6 aprile 1973, di ruolo alzatrice, alta 178 cm, schiacciava a 298 cm e murava a 274 cm e vanta 228 presenze in Nazionale. Oggi è un’ex pallavolista, opinionista televisiva per Sky Sport per la pallavolo femminile ed è stata chiamata a portare la sua esperienza in merito alla medicina sportiva e al concetto di personalizzazione.

Come interviene il concetto di “personalizzazione” nelle attività di prevenzione che un atleta segue per mantenersi in buona salute e nella preparazione alle performance sportive?

Sulla base della mia esperienza, la medicina sportiva è uno degli ambiti in cui il concetto di personalizzazione è pienamente sviluppato. Infatti in ogni fase delle attività dell’atleta c’è un’attenzione grandissima per tutti gli aspetti specifici e personali legati alla sua salute. Anche solo parlando del semplice certificato di idoneità sportiva per la pratica agonistica, i riscontri ai quali deve sottoporsi l’atleta sono molto approfonditi: esami delle urine, del sangue, della vista, elettrocardiogramma, spirometria. E ogni atleta deve avere obbligatoriamente ottenuto questa certificazione prima di poter iniziare la pratica sportiva. È molto importante sottolineare che questo livello di attenzione per lo stato di salute dello sportivo in passato non c’era e che, al tempo stesso, è cambiata anche la mentalità dell’atleta in questo senso. Un atleta professionista oggi è consapevole che per essere più longevo, per avere una carriera più continua, più sicura e più tranquilla ha necessariamente bisogno del supporto di un medico che lo segua in modo personalizzato.

Ovviamente il tema della personalizzazione nella pratica sportiva assume un’ulteriore importanza quando si considerano le differenze di genere tra atleti uomini e donne. Dal punto di vista dell’alimentazione non ci sono differenze sostanziali, neanche ad alti livelli agonistici: alle Olimpiadi di Sidney, alle quali ho preso parte, nel Villaggio Olimpico, il menu delle squadre di pallavolo maschile e femminile era lo stesso: pasta al pomodoro, olio extravergine, bresaola, pollo alla griglia, etc.

Ma l’approccio personalizzato coinvolge in modo importante la preparazione fisica all’attività sportiva agonistica: è un dato di fatto che una donna non ha la stessa forza, la stessa dinamica, la stessa resistenza fisica di un uomo. Ogni atleta, o ogni team, ha uno staff medico che lo segue per la preparazione atletica che è completamente differente se si tratta di uno sportivo o di una sportiva.

In questo scenario un fattore che può rivelarsi determinante è quello ormonale: in prossimità del ciclo mestruale infatti le prestazioni sportive delle atlete raggiungono standard più elevati. Questo fattore riveste un’importanza tale da venir monitorato anche dagli staff medici dei team sportivi femminili, come è avvenuto alla nostra squadra in occasione di una Coppa del Mondo dove il medico della squadra aveva preparato dei grafici per studiare quanto il periodo in cui avremmo avuto il ciclo si sarebbe avvicinato alle date delle nostre prestazioni.

L’aspetto più importante è che il confronto con questo tipo di approccio abitua l’atleta, in particolare le donne, a conoscere e riconoscere le specificità di genere del proprio organismo.

Tra uomini e donne si può riscontrare molto spesso anche un differente approccio alla malattia, un modo diverso di viverla e di affrontarla, dalla diagnosi alla terapia. Cosa ne pensa?

Mi sembra che la donna abbia più resistenza sia fisica che psicologica nell’affrontare una malattia, a prescindere da quale sia l’entità. Probabilmente da un punto di vista culturale la donna è più portata a farsi “carico” della malattia senza rinunciare agli impegni quotidiani, spesso per un uomo anche solo una leggera forma influenzale viene drammatizzata.

Personalmente nel corso della mia carriera non ho mai avuto grandi infortuni ma, se si parla dei tempi di recupero post-infortunio, notiamo differenze enormi tra gli atleti uomini e donne, perché ovviamente entrano in gioco tantissime dinamiche, anche dal punto di vista semplicemente caratteriale. In definitiva potremmo sintetizzare le differenze di genere tra uomini e donne nello sport citando Julio Velasco, uno dei più grandi allenatori della storia della pallavolo, che avendo allenato entrambe le nazionali italiane, quella maschile e quella femminile, ha sempre detto di essersi confrontato con due pianeti completamente differenti pur trattandosi della stessa disciplina sportiva.

La Medicina di Genere

 

Cos’è la Medicina di Genere?

                                                                                

La Medicina di Genere è una branca recente delle scienze biomediche che ha l’obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivanti dal genere di appartenenza sotto molteplici aspetti: a livello anatomico e fisiologico, dal punto di vista biologico, funzionale, psicologico, sociale e culturale e nell’ambito della risposta alle cure farmacologiche.

È stato ormai dimostrato da molteplici studi che le differenze di genere, in primis quelle nella fisiologia umana, in caso d’insorgenza di malattia si riflettono significativamente sulla genesi, la prognosi e la compliance degli individui.

La finalità di questa innovativa disciplina è arrivare a garantire a ciascuno, uomo o donna che sia, il miglior trattamento possibile sulla base delle evidenze scientifiche.

 

Cosa significa il concetto di ‘genere’

Per ‘differenze di genere’ s’intendono non soltanto i caratteri sessuali degli individui, ma anche e soprattutto un insieme di specificità che scaturiscono sia dalla differente fisiologia e psicologia degli uomini e delle donne sia dai diversi contesti socio-culturali di riferimento.

In altre parole, si è maschi o femmine non solo in base al sesso, ma anche ad altri aspetti della fisiologia dell’organismo e agli specifici ruoli che ricopriamo nella società.

Il background della disciplina: la sindrome di Yentl

L’idea che uomini e donne presentino delle differenze importanti – come, ad esempio, quelle osservabili nell’apparato cardiocircolatorio, per non considerare la variabilità dell’assetto ormonale – e che queste differenze svolgano un ruolo cruciale in medicina, risale alla metà degli anni Ottanta.

foto YеntlQualche anno dopo la cardiologa Bernardine Healy, allora a capo dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica statunitense, pubblicava un articolo intitolato The Yentl Syndrome, dal nome dell’eroina di un racconto di Isaac B. Singer, costretta a travestirsi da uomo per accedere allo studio del Talmud.

L’articolo commentava i risultati di due studi effettuati su un gruppo di donne affette da coronaropatia, puntando il dito sull’atteggiamento discriminatorio dei medici cardiologi nei confronti delle pazienti che, a differenza dei malati uomini, subivano un numero maggiore di errori diagnostici, ricevevano meno cure ed erano sottoposte a interventi chirurgici non risolutivi. Come Yentl, scriveva Healy, anche le donne sono state costrette a trasformarsi in ‘piccoli uomini’ per rientrare nei canoni della ‘medicina classica’.

Nel 1992, la cardiologa Marianne J. Legato dava avvio alla Partnership for Women’s Health alla Columbia University di New York. La prima sperimentazione riservata alle donne fu avviata più di dieci anni dopo, nel 2002, con l’istituzione nella medesima Università del primo corso di Medicina di Genere, dopo che la disciplina era stata finalmente inserita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’Equity Act stilato nel 2000.

In tempi recenti i temi della Medicina di Genere hanno richiamato l’attenzione anche delle Istituzioni europee: nel maggio scorso a Bruxelles, presso la sede del Parlamento Europeo, si è svolto un incontro incentrato sulle strategie per promuovere misure volte a ridurre l’incidenza di patologie cardiovascolari in Europa; nel corso dell’incontro, tra l’altro, è stata messa in evidenza la scarsa presenza di donne (solo il 33%) nei trial clinici che testano farmaci per le patologie cardiovascolari. Da questo incontro è scaturita la proposta di una legge, analoga a quella americana, che renda obbligatoria in Europa un’equa rappresentanza femminile (50%) nei trial per patologie cardiovascolari e ictus, prime causa di mortalità femminile.

I vantaggi della Medicina di Genere

Un approccio di genere alla medicina consente di:

  • ridurre il livello di errore nella pratica medica;
  • promuovere l’appropriatezza terapeutica;
  • migliorare e personalizzare le terapie;
  • generare risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale.

Le principali differenze di genere nell’ambito delle patologie

Patologie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari (dall’infarto all’aterosclerosi) hanno sempre spaventato più gli uomini che le donne. Ma si tratta di un errore, giacché il 38% delle donne colpite da infarto muore nel giro di un anno, contro il 25% degli uomini. Anche in caso di ictus i 12 mesi successivi sono più a rischio per le donne: i decessi ne colpiscono il 25%, contro il 22% degli uomini.

 

Infarto

Le donne sembrano meno capaci degli uomini di riconoscere in tempo il principale campanello d’allarme dell’infarto, cioè l’angina pectoris, dal momento che i sintomi si presentano in modo diverso rispetto agli uomini. Nei Manuali di Medicina viene tipicamente descritto come un dolore toracico a livello dello sterno, oppressivo e costrittivo, di breve durata, che può irradiarsi al braccio sinistro. Nelle donne, secondo lo studio Wise (Women Ischemic Syndrome Evaluation) dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica statunitense, i sintomi che appaiono per primi sono un dolore irradiato alle spalle, al dorso, al collo, la mancanza di fiato, nausea persistente, sudori freddi, vomito, spossatezza, ansia e debolezza. Gli operatori non consapevoli di queste differenze non riconoscono questi sintomi o li riconducono a un’influenza o a problemi gastrici. Di conseguenza il ricovero avviene troppo tardi, o magari non viene effettuato in terapia intensiva coronarica, rendendo meno efficaci le terapie. Molte volte, infatti, la donna con infarto è indirizzata al pronto soccorso in area verde e non in area rossa o può essere inviata in gastroenterologia piuttosto che in psichiatria, proprio perché non manifesta dolore. E più la donna è giovane, più i sintomi sono assenti o atipici. C’è una differenza anche nelle arterie colpite: nell’uomo sono coinvolte le grandi arterie, nella donna quelle piccole (il microcircolo) e quindi la coronarografia potrebbe non rilevare anomalie, con la necessità perciò di rivolgersi ad altri mezzi diagnostici. Inoltre, ci sono differenze anche nei fattori di rischio per l’infarto: il diabete è un fattore di rischio quattro volte più grave nella donna, e anche l’ipertensione incide di più. Insomma, le differenze sono tante e si sono scoperte solo negli ultimi anni: infatti tutti i lavori di epidemiologia sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari non hanno considerato donne oppure ne hanno analizzato una percentuale talmente bassa (10-15%) che i risultati statistici non sono significativi. Differenze dal punto di vista terapeutico: la cardioaspirina non è un farmaco efficace nella prevenzione primaria dell’infarto nella donna, mentre lo è nella prevenzione dell’ictus.

 

Aterosclerosi

Nel sesso femminile l’aterosclerosi ha uno sviluppo diverso. Negli uomini le placche aterosclerotiche cominciano a formarsi a partire già dai 30 anni, nelle donne invece questo in genere accade dopo la menopausa. Durante l’età fertile, infatti, l’organismo femminile è protetto dagli estrogeni, che agiscono sulla dilatazione dei vasi, rendendoli più ampi ed elastici e consentendo così il passaggio del sangue anche in presenza di placche e facilitandone la riparazione in caso di lesioni. Con la menopausa, però, questa protezione ormonale svanisce e l’organismo si trova improvvisamente esposto a tutti i fattori di rischio.

Diabete

La sindrome metabolica ha una prevalenza del 60% nelle donne sopra i 65 anni di età e le donne diabetiche sono in lieve sorpasso rispetto agli uomini (5,2% vs 4,4%). In generale la donna con diabete ha una peggiore qualità e una minore aspettativa di vita.

Dal punto di vista delle complicanze cardiovascolari, la malattia diabetica può essere considerata più pericolosa: il rischio di morte cardiovascolare è più che doppio per le donne rispetto agli uomini. Una cinquantenne diabetica vive in media 8,2 anni in meno rispetto a una coetanea non diabetica, contro i 7,5 anni degli uomini. Fino ai 64 anni non si osservano differenze significative tra uomini e donne per la comorbosità delle patologie cardiovascolari e diabete, mentre, a partire dai 65 anni, la prevalenza è più alta tra le donne e raggiunge tra le ultrasettantacinquenni il 10,1%; lo svantaggio femminile s’incrementa ulteriormente tra gli ultrasettantacinquenni (+27%). Alcune forme di diabete, poi, colpiscono le donne in fasi ‘delicate’ della loro vita come la gravidanza o la menopausa: il 50% delle donne con diabete gestazionale sviluppa, dopo 5-10 anni, diabete di tipo 2.

Patologie polmonari

Tumore del polmone

Agli inizi del secolo scorso il tumore al polmone era una malattia rara nelle donne. Ha cominciato a diffondersi nel sesso femminile a partire dagli Anni ‘60, anche a causa del diffondersi dell’abitudine al fumo. Il cancro del polmone nella donna è aumentato del 600% da metà del Novecento ad oggi (le donne hanno storicamente iniziato più tardi a fumare e oggi le fumatrici stanno aumentando più dei maschi) e i carcinogeni del tabacco sono più nocivi per le femmine, che hanno inoltre meno capacità di riparare il DNA. Se comparati a quelli degli uomini i polmoni delle donne, anche di non fumatrici, appaiono più vulnerabili rispetto alle patologie tumorali. Anche nel caso del tumore al polmone, così come avviene per quello al seno, gli ormoni (in particolare gli estrogeni) giocano un ruolo importante. Nelle donne ancora fertili la malattia è più aggressiva e, al contrario di quanto avviene nel caso del tumore alla mammella, il numero di gravidanze gioca un fattore negativo: le donne che hanno avuto più figli sembrano sviluppare, infatti, maggiori probabilità di sviluppare la malattia. Si sono osservate anche alcune associazioni col papilloma virus e un rapporto negativo con gli estrogeni (che riducono il cancro del colon ma aumentano quello del polmone). Dall’analisi del database Surveillance, Epidemiology and End Results, che custodisce le storie cliniche di oltre 31.000 pazienti americane con tumore al polmone, risulta che le donne affette da neoplasie polmonari in terapia presentano infine maggiori effetti collaterali.

Asma

La prevalenza di questa malattia ha un doppio andamento: prima della pubertà, gli uomini sono colpiti due volte più delle donne. Dopo lo sviluppo sessuale, questa differenza scompare, anzi tra le donne adulte l’asma è più frequente che negli uomini. Il ‘sorpasso’ è dovuto agli ormoni: gli estrogeni, infatti, regolano il rilascio di diverse molecole proinfiammatorie (citochine) coinvolte nello scatenarsi della reazione asmatica. Anche la menopausa è un periodo a rischio: quando le ovaie cominciano a cessare le loro funzioni, si verifica un aumento spontaneo della produzione di citochine, con un conseguente peggioramento o addirittura una prima comparsa della malattia.

Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO)

Oggi, la BPCO colpisce più gli uomini che le donne, ma queste ultime muoiono di più a causa di questa patologia. Nei prossimi dieci anni, peraltro, avverrà il sorpasso del sesso femminile anche nel numero di casi. La colpa è del fumo e della sua sempre maggiore diffusione nella popolazione femminile. Le fumatrici hanno una maggiore probabilità di sviluppare la forma grave della malattia: a parità di sigarette, nelle donne la BPCO si manifesta prima, con sintomi peggiori e conseguenze più nefaste. Inoltre, a parità di esposizione al fumo, le donne con BPCO hanno un rischio più elevato di danno polmonare, un maggiore grado di dispnea (cioè di mancanza di fiato) e uno stato di salute peggiore rispetto agli uomini. Nonostante queste evidenze, nelle donne la malattia è sottovalutata: quando si presentano dal medico, le pazienti hanno meno probabilità di ottenere una diagnosi tempestiva (e quindi una cura appropriata), anche perché la spirometria, l’esame che serve a valutare la funzionalità respiratoria, viene prescritta più facilmente a un uomo che a una donna.

Patologie neurodegenerative

Malattia di Parkinson

La Malattia di Parkinson è da 1,4 a 2 volte più frequente negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto nel 2003 dal Kaiser Permanente di Oakland, in California, mostra un tasso globale per i maschi del 91% superiore a quello femminile: 19 casi ogni 100.000 uomini, contro 9,9 casi ogni 100.000 donne. Pur essendo meno colpite, le donne lamentano in generale una maggiore disabilità e una qualità di vita peggiore. Una volta comparsa, la malattia ha un decorso simile nei due sessi e non ci sono grandi differenze per quanto riguarda la sua durata (10,1 anni in media per gli uomini, 10,3 anni per le donne). La maggiore diffusione nel sesso maschile è probabilmente dovuta a fattori genetici (è stato evidenziato un legame tra la malattia e una mutazione di alcuni geni presenti sul cromosoma X, di cui gli uomini hanno una copia sola), ormonali (a proteggere le donne sarebbero anche gli estrogeni) e ambientali (gli uomini sono maggiormente esposti all’azione di sostanze tossiche).