Gli ingredienti trapanesi si trasformano in piatti stellati. Una magia che dura una sera.
I maghi? 5 chef provenienti da diverse parti d’Italia.
L’olio di Terre di Shemir è la pozione magica.
Luogo fatato: la cucina di Serisso 47. Ristorante gourmet di Gaetano Basiricò che ha accolto e riunito i colleghi stellati: Stefano Mazzone, del ristorante gourmet Rendez-Vous del Gran Hotel Quisisana di Capri; Michelangelo Citino, Chef del Michelangelo Restaurant a Linate; Pino Cuttaia, Chef bistellato di La Madia di Licata (Agrigento); Damiano Nigro, dello stellato Villa D’Amelia a Benevello (Cn), nelle Langhe. Questi protagonisti dell’arte culinaria, famosi per la loro cucina prestigiosa e ricercata che si propone di valorizzare il territorio, mettono a confronto le loro competenze, uniscono idee, tecniche e professionalità per creare piatti che incantano con semplici prodotti territoriali.
Ogni cuoco ha presentato un piatto. Tutto è iniziato la mattina, con la visita al mercato per scegliere gli ingredienti, poi, di sera la cena che ha stregato giornalisti ed esperti del settore. Agli straordinari piatti sono stati abbinati i nuovi vini di Terre di Shemir: l’Erede, un grillo, il Fedire, grillo e Zibibbo, e il Paradiso di Lara, un nero d’Avola spillato dalla botte.
L’evento è stato ideato nel 2011 dalla famiglia Pellegrino, titolare di Terre di Shemir, che continua a riunire chef di alto livello per far conoscere le eccellenze del territorio. Siamo a Trapani, a pochi passi dalla Torre di Ligny, una torre di avvistamento spagnola, risalente al 1671, e che si erge su una suggestiva scogliera da cui, guardando verso ovest, si scorgono le isole Egadi e il piccolo isolotto di Formica.
“La provincia di Trapani è la provincia più ventosa della Sicilia, ci pensa il vento a spazzare via con facilità i parassiti e l’umidità che causano le malattie alle viti – spiega l’enologo Dino Croce che, con Irene Pellegrino, ha dato vita a una piccola società per l’imbottigliamento: ‘Terre di Shemir di Irene’ –. Quindi interveniamo chimicamente solo se strettamente necessario”.
Francesco Pellegrino quasi voleva abbandonare la produzione del vino per concentrarsi in quella del ‘prezioso’ olio, e invece: cosa succede? Succede che mi sono preso una grande responsabilità: portare avanti questa sfida e il sogno nel cassetto di Ciccio Pellegrino. E quindi oltre ad essere enologo sono anche proprietario, insieme a Irene che è enotecnica.
Al momento i vini sono 4: un Grillo in purezza, un Grillo Zibibbo e 2 Nero d’Avola. Uno affinato in barrique e l’altro in acciaio. Poi il prossimo anno vedremo di fare anche qualche passito, perché la Sicilia è terra di passiti. Molti vanno controcorrente con bollicine, spumanti, invece io voglio rispettare il territorio.
I nostri vini si caratterizzano per la loro eleganza, più che per la potenza. Con Irene abbiamo scelto di dare maggiore risalto al frutto e di non utilizzare molto legno. Adesso c’è una minor tendenza a usare le barrique. La tecnica di vinificazione fa la differenza perché i nostri vini fermentano a temperature più basse e quindi i profumi sono diversi.
La maggior parte del lavoro si fa in vigna durante la raccolta, che avviene a mano, per le pressature si usano presse soffici, così i profumi e i mosti non sono ossidati e ritroviamo questi sentori che rendono eleganti i vini.

CHEF GAETANO BASILICO’
Il padrone di casa ha servito come entrée un uovo sbattuto, qualeddu fritto, e pane tostato all’aglio di Nubia. Il qualeddu è il “ravizzone”, una verdura selvatica che nasce spontaneamente nelle campagne del trapanese. E poi olio Trappitu Delicato, abbinato al vino Grillo Erede.

Quanto sono importanti le materie prime?
Non penso che ci possa essere produzione senza buona qualità di materie prime. La qualità è basilare. La scuola siciliana usava l’agrodolce più che altro per conservare o recuperare un pezzo di carne o pesce di giorni prima. Noi abbiamo ripreso questa tecnica, ma non per camuffare, per esaltare, anzi, il gusto di una materia prima di grande qualità.
Da quanto tempo utilizza gli oli Pellegrino?
Un amico comune mi ha presentato Pellegrino nel 2000, ho conosciuto così la sua azienda e sono entrato nella famiglia. Una famiglia in cui non si sente il peso del produttore.
Stasera stiamo degustando i vini dell’azienda agricola Terre di Shemir. Per bere è sufficiente il piacere fisico, per degustare ci vogliono anche intelligenza e competenza. E per lei, che cos’altro è necessario?
La stessa passione con cui un produttore crea un suo prodotto: anche chi beve deve aggiungere passione, l’intelligenza non basta.
Lei non si definisce uno chef, né un cuoco, ma un cuciniere. Ci vuole spiegare perché?
Mio padre aveva una licenza per trattoria e pizzeria di paese, e su quella si leggeva “autorizzazione per la produzione di cibi cotti”. Ho ancora quel ricordo, e per questo mi reputo uno che prepara cibi cotti.
5 chef riuniti in un’unica cucina e dallo stesso olio. Com’è andata?
Meravigliosamente bene, perché lo scopo è stato quello di riunire 5 amici per proporre dei piatti, quindi non c’è il problema della competizione. Ogni preparazione viene assaggiata da tutti, e ci si consiglia a vicenda.
Degustare è un’arte, e tutto ciò che è sottoposto ai nostri sensi si degusta: un quadro, l’amore, la vita. Per lei cosa significa degustare?
Degustare un cibo significa tradurre, trasferire, scomporre i vari fattori e andarli a collocare nelle varie parti della persona: mente, fisico, cuore. È proprio una scomposizione, e le stesse sensazioni te le può dare anche l’arte.

CHEF PINO CUTTAIA, bistellato di La Madia di Licata (Agrigento), Vicepresidente di “Le Soste di Ulisse”, e tanto chiacchierato per aver cucinato al pranzo delle first lady durante il G8 2017.

Il suo ingrediente segreto?
La memoria. È l’ingrediente che più di ogni altro caratterizza la mia concezione della cucina, che non manca mai nei miei piatti e che consente di riconoscerli. Ognuno dei miei piatti contiene sempre almeno un pizzico di ricordi. Ognuno dei miei piatti, con la sua semplicità, prova a raccontare una storia.
Ci descrive il suo piatto?
Ho voluto raccontare il territorio presente. L’idea è stata di mettere tutto quello che vive sotto terra: il tartufo, il topinambur, la cipolla, l’aglio. Al posto della lumaca, poi, ho messo dei cannolicchi di mare, che hanno quasi il gusto e la consistenza della lumaca, e li abbiamo avvolti in una foglia. Sulla lumaca ci sono parecchi pregiudizi, e ho voluto un piatto più popolare…
La Sicilia è una regione dove storie, società e ambienti naturali si fondono. In particolare, il cibo è uno degli elementi culturali che hanno aiutato a preservare l’unicità dell’isola. Influenze provenienti da varie parti del mondo si sono combinate nel tempo, creando una varietà di tradizioni culinarie che non ha eguali, frutto di duemila anni di storia e contaminazioni.


CHEF MICHELANGELO CITINO, del Michelangelo Restaurant a Linate.
Ha iniziato molti anni fa con Gualtiero Marchesi, da lì è passato con Davide Oldani, che faceva parte della sua squadra, e ha effettuato tutto il suo percorso con lui tra Quisisana e Giannino a Milano. Poi, sempre tramite Oldani, prima l’esperienza francese in uno stellato parigino di Alain Ducasse, e oggi in My Chef, azienda di ristorazione commerciale e competitor di Autogrill. È executive chef e si occupa di sviluppare format, nuove ricette e anche dei panini gourmet.
Citino seguiva Oldani in EXPO e nei corner Ferrari spazio bollicine tra Malpensa, Linate e Roma Fiumicino. A Casa Milan si occupava dei pranzi rossoneri del Presidente Silvio e di Barbara Berlusconi. In Casa Milan e in altri locali di alta gamma, per ultimo Larte di Via Manzini a Milano, è impegnato nello sviluppo del menù e nella formazione.
Ogni locale ha il suo chef e la sua identità. Citino si occupa dello start up dei menù, provati e tastati con i vari chef, che poi agiranno autonomamente.

Calabrese ma di adozione lombarda ha proposto un riso mantecato con cardamomo e limone, dragoncello, ricotta di pecora, alici e gambero rosso. Ci descrive il suo risotto?
Questa sera ho preparato un riso pensato sulla base di un classico siciliano: il cuscus, piatto con influenze africane e caratterizzato da una serie di ingredienti e odori derivanti dalle spezie. Così il mio riso è ricco di spezie, di profumi, di aromi ed è mantecato con cardamomo e buccia di limone. Sopra il riso 4 salse: alla ricotta rigorosamente ovina, al dragoncello, alle acciughe, alle teste di gamberi rossi. A completare, 2 o 3 pezzettini di gambero rosso a crudo! Una connotazione particolare la dava il cuscus soffiato cosparso sul riso per conferire quella parte croccante che mancava.
5 chef riuniti in un’unica cucina, uniti anche dall’olio Pellegrino. C’è rivalità?
Ho inventato oggi questo risotto e ho conosciuto in quest’occasione l’ottimo olio. Si vedono l’amore e il lavoro della famiglia che ci sono dietro.
Ritengo che adesso non ci siano le invidie che c’erano in passato. Sono andate scemando, poi noi ci conosciamo tutti da moltissimi anni quindi non ci può essere rivalità. Abbiamo cucinato scherzando, e simpaticamente ci siamo presi un po’ in giro, ci siamo consigliati. Ad esempio, la salsa con la testa di gambero è stato Damiano a suggerirmela.
Il degustare è un’arte e tutto ciò che è sottoposto ai nostri sensi si degusta: un quadro, l’amore, la vita. Per lei cosa significa degustare?
Per me degustare può essere semplicemente un pensiero. Prima di degustare, si ragiona e si riflettere su un progetto o su un piatto che si vuole portare a termine. Non si degusta semplicemente con il palato. Si degusta prima con la mente, perché dietro ogni buon risultato c’è un’attenta riflessione.
Quanto sono importanti le materie prime?
Essenziali. Il risultato finale si ottiene solo con materie prime di alta qualità. “Povera” non vuol dire non di qualità. L’acciuga può essere povera ma di qualità. La qualità è fondamentale. La qualità è legata anche alla stagione, in quanto ogni frutto o prodotto offertoci dalla terra ha un suo periodo di maturazione nella forma, nella consistenza e conseguentemente nella qualità.

CHEF STEFANO MAZZONE, ristorante gourmet Rendez-Vous del Gran Hotel Quisisana di Capri.
I suoi genitori sono siciliani, lui è nato a Treviso e ha girato diverse cucine in Italia. È a Capri da 10 anni.

Una collaborazione di 5 Chef con esperienze diverse. Cosa ci racconta?
Esperienze diverse, ma comuni. È un momento di amicizia tra colleghi che si conoscono da diversi anni. A unire il gruppo, Ciccio, Lara di Terre di Shemir e i loro prodotti.
C’è rivalità tra voi chef?
La rivalità esisterebbe se ci fosse qualcuno di bravo, qui di bravo non ce n’è nessuno. Tutti scarsi e tra scarsi non ci può essere rivalità (ride).
Qual è il piatto proposto?
Il pesce. Che abitualmente i miei colleghi preparano a casa e cucinano prima. A me piace andare al mercato e acquistare ciò che trovo. Stasera un po’ di Sicilia: una fettina di pesce spada, leggermente panata in padella come si fa nel palermitano, e poi un agretto di pomodorini marsalesi con una maionese leggera aromatizzata all’origano.
Capri/Sicilia, Quali similitudini dal punto di vista alimentare e delle materie prime.
Alla fine ci affacciamo tutti sul bacino del Mediterraneo, con la dieta mediterranea che, non dimentichiamolo, è nata nel salernitano, in questa zona bellissima, grazie a uno studioso americano che negli anni 40/50 e l’ha per la prima volta catalogata. Sicilia e Campania appartengono allo stesso bacino meridionale e i prodotti sono quasi gli stessi. Era il Regno delle due Sicilie, e in cucina ci sono aspetti comuni.
Il piatto che di solito preferisce cucinare?
Quello proposto stasera. È nel mio menù da tanti anni, nato qua in Sicilia, perché prima di essere a Capri, dodici anni fa vivevo qua.
Perché l’olio Pellegrino e i vini Pellegrino?
I vini Pellegrino sono nati quest’anno, diciamo che questo è l’anno zero. Io li ho assaggiati e sono entusiasta. Poi insieme alla sommelier abbiamo scelto di abbinare al pesce spada un Grillo: L’Erede
Perché l’olio Terre di Shemir?
Ci siamo scoperti 15/16 anni fa e non ci siamo più lasciati.

CHEF DAMIANO NIGRO, Executive chef del Ristorante di Villa D’Amelia, nelle Langhe.

Originario di Brindisi e piemontese di adozione. Ha iniziato 30 anni fa a Courmayeur come lavapiatti. Ci racconta il suo percorso?
Sono stato poi promosso a lava pentole: cioè sei dentro la cucina e lì conosci i cuochi che non puoi contraddire, una gavetta che ti insegna a stare al tuo posto nella vita. Li vedevo correre a destra e a sinistra con il loro grandi cappelli e restavo affascinato dalle loro presentazioni.  Col tempo, lo chef ha notato il mio interesse e mi ha valorizzato. Da lì sono andato in Germania e ho lavorato con i tedeschi, poi sono tornato in Italia con lo chef pluristellato Gualtiero Marchesi, a Milano. Sono stato poi a Moena, con lo stellato Alfredo Chiocchetti, poi nello Yorkshire, in Inghilterra, in un 3 stelle francese. La mia ambizione giovanile mi portava a lavorare e non mi affliggevo per la lontananza. Ho avuto sempre grande tenacia. Dopo 6 mesi mi hanno promosso e preparavo i secondi. Da lì sono passato in cucina con il grandissimo Marco Pierre White e ho fatto 4 anni con lui. Poi sono andato a Parigi, e successivamente ho cercato di rientrare in Italia, ma non ce l’ho fatta. In seguito sono tornato da Marco Pierre White che mi ha permesso di gestire uno dei suoi ristoranti. Poi Spagna, e dopo finalmente Italia, dove ho cominciato con lo chef stellato Enrico Crippa nel Ristorante Piazza del Duomo ad Alba, e da lì mi sono trasferito con la mia compagna a Villa D’Amelia. Quest’anno festeggiamo 11 anni a Villa d’Amelia, dopo 4 abbiamo conquistato la prima stella e ora cerchiamo di conquistare la seconda. Questa è in breve la mia storia.
Per fare lo chef, basta la passione?
Noi facciamo un lavoro molto duro. Dire che dopo 30 anni basta solo la passione non è realistico. Ci vogliono anche testa e carattere per gestire i ristoranti. L’esperienza e la maturità ti aiutano nel dare un occhio sui costi. Un ristorante è come un’azienda, e come tale deve funzionare.
5 chef riuniti in un’unica cucina e dallo stesso olio. Com’è andata?
È andata molto bene. Io apprezzo queste cose perché c’è sempre un incrocio di pensieri e si ricavano nuove nozioni, conosciamo nuovi prodotti. Il piatto proposto da me era un bollito affumicato, quindi Langhe, ma incrociato con il gusto siciliano. La carne bollita infatti è stata affumicata con la legna di ulivo, ed era accompagnata poi da salsa tartara e salsa verde, e da una purea di patate. L’ho poi decorata con scaglie di bottarga per dare sapidità e per arricchirla col gusto del mare. Un bricco con del brodo da bere completava il piatto.
Da quanto tempo utilizza gli oli di Terre di Shemir?
Li conosco da 11 anni circa, e li utilizzo da 5 anni.
Quanto sono importanti le materie prime?
Molto. C’è anche chi le elabora, però avere materia prima di alta qualità è sicuramente se non al primo, al secondo posto.
In abbinamento ai piatti, i vini di Terre di Shemir, frutto anche dell’enologo Dino Croce. Per bere è sufficiente il piacere fisico, per degustare ci vogliono pure intelligenza e competenza. E per lei cos’altro?
La conoscenza pratica, come in tutte le cose. Parlo per la mia esperienza personale.
Clementina Speranza