L’artrite reumatoide colpisce 1 persona ogni 200, oltre 300 mila soggetti in Italia, per il 75% dei casi di sesso femminile e nel pieno della vita attiva.

“Esiste una forma di artrite reumatoide più aggressiva e a rapida evoluzione, sottovalutata, nonostante i numeri, ma che peggiora seriamente la qualità di vita dei pazienti. Chi ne soffre paga un prezzo altissimo per disabilità e impatto sulla vita di tutti i giorni”. È questo il messaggio lanciato a Milano durante l’incontro Artrite Reumatoide: una malattia dai mille volti. Dalla gestione della cronicità alla lotta alla forma precoce e aggressiva.

L’evento si è svolto alla presenza delle principali Associazioni di persone affette da malattie reumatiche: ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici), APMAR (Associazione Persone con Malattie Reumatiche e Rare), AMRER (Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna) ed è stato l’occasione per raccontare cosa vuol dire convivere con una malattia subdola e dal decorso erosivo rapido e invalidante, come cambia la qualità dei rapporti sociali e professionali e quali sono le maggiori criticità assistenziali per i pazienti.

In questo contesto, le Associazioni di pazienti giocano un ruolo determinante per far sì che i bisogni dei malati reumatici, ad oggi penalizzati rispetto a coloro che sono affetti da altre patologie ad alto impatto socio-sanitario, vengano sempre di più messi al centro della programmazione sanitaria. In quest’ottica, ANMAR, APMAR e AMRER hanno intrapreso un percorso di collaborazione per essere più efficaci nel dialogo con le Istituzioni, auspicando un maggiore coinvolgimento in fase decisionale, in quanto soggetti competenti e forti dell’esperienza di chi vive la malattia e opera sul territorio. Diagnosi più tempestive, trattamenti personalizzati a seconda delle forme di malattia e accesso alle terapie più ampio ed omogeneo sul territorio nazionale sono al centro delle istanze portate avanti dalle Associazioni.

“Bisogna puntare sulla medicina personalizzata e garantire l’accesso a quei farmaci che possono dare un reale beneficio ai pazienti che ne hanno bisogno – precisa Luigi Sinigaglia, Direttore S.C. Reumatologia DH ASST Gaetano Pini, Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Pini-CTO di Milano -. L’artrite reumatoide è una malattia multiforme in quanto può variare per modalità di esordio, decorso clinico, caratteristiche sieroimmunologiche e risposta ai trattamenti. Rispetto ad altre forme di artrite, in quella precoce e aggressiva, l’infiammazione a livello della membrana sinoviale che riveste l’interno di tutte le articolazioni mobili del nostro organismo, comporta un precoce danno anatomico agli altri tessuti articolari, soprattutto alla cartilagine e all’osso subcondrale ma anche a tendini e legamenti, arrivando, nel giro di un paio di anni, alla completa abolizione della funzionalità del distretto articolare colpito. Pertanto, questa forma di malattia, che interessa il 40% dei pazienti all’esordio, si associa a una maggiore disabilità e a una più alta mortalità per manifestazioni extra articolari, in primis per patologia cardiovascolare che colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 50 anni, con una riduzione della sopravvivenza dai 3 ai 10 anni. Questi dati ci aiutano a comprendere quanto la diagnosi precoce possa cambiare le sorti dei pazienti”.

Ma cos’è l’artrire rematoide (AR)? È una patologia infiammatoria di origine autoimmune ad andamento invalidante e a carattere sistemico. In Italia interessa lo 0,5% della popolazione, 300mila persone, il 75% delle quali è di sesso femminile. Quando la malattia sopraggiunge, alcune cellule, dette im­munocompetenti, invadono la membra­na sinoviale rilasciando diverse sostanze che attaccano i tessuti delle articolazioni e generano un processo infiammatorio che determina una produzione sovrab­bondante di liquido con conseguente tumefazione e gonfiore. L’aumento di volume della membrana, inoltre, erode la cartilagine che riveste i capi ossei e l’osso sottostante, causando un danno permanente e, nei casi più gravi, può far addirittura scomparire l’articola­zione (anchilosi).

Per quanto i sintomi della malattia si­ano piuttosto comuni, le modalità di esordio, il decorso clinico e le caratte­ristiche sieroimmunologiche dell’AR sono estremamente mutevoli, e ciò ha implicazioni anche dal punto di vista della risposta ai trattamenti. In circa un quarto dei pazienti l’erosione articolare si sviluppa rapidamente entro 3 mesi dall’insorgenza della malattia; la restan­te parte della popolazione affetta svilup­pa erosioni entro i primi 2 anni dalla diagnosi.

Le articolazioni più colpite sono quelle di mani, poi i polsi e quindi i piedi, le ginocchia, i gomiti, le caviglie, le spalle, le anche, la colonna cervicale, le articolazioni temporo-mandibolari. I pazienti possono manifestare, in una percentuale non trascurabile, anche al­terazioni in sedi extra-articolari con il coinvolgimento di cute, occhi, cuore, polmone, rene, sistema nervoso perife­rico e centrale, apparato gastrointesti­nale.

Sebbene l’AR sia caratterizzata da un decorso cronico, è tuttavia possibile identificare alcuni fattori prognostici negativi che indicano un’evoluzione più accelerata e più severa della ma­lattia:

– indici di flogosi (VES e PCR) elevati
– numerosità delle articolazioni infiammate
– precoce danno erosivo a li­vello osseo
– positività ad alcuni biomarcatori quali il fattore reu­matoide (FR) e gli anticorpi anti pepti­de ciclico citrullinato (ACPA).

L’American College of Rheu­matology (ACR) e l’European League against Rheumatism (EULAR) hanno inserito tra i criteri di classificazione dell’AR sia il livello del FR, sia lo sta­tus ACPA, in quanto espressioni di un decorso più severo e più rapido dell’AR, ovvero di quella forma peculiare che viene clinicamente definita come pre­coce e aggressiva. In particolare, gli anticorpi ACPA han­no cambiato molto in termini di diagno­si, prognosi e trattamento della patolo­gia, in quanto consentono di identificare popolazioni maggiormente a rischio di sviluppo di erosione – e quindi di danno osseo e articolare – e al tempo stesso un target di pazienti cui indirizzare tera­pie mirate e sempre più personalizzate. Evidenze scientifiche hanno dimostrato che la presenza degli ACPA sta a indi­care una risposta autoimmune in corso, spesso già molti anni prima della com­parsa dei primi sintomi di malattia. Da un punto di vista funzionale, questi anticorpi hanno un ruolo patogenetico diretto nell’AR, esercitando un’azione sull’erosione ossea tramite un’azione di­retta sugli osteoclasti, le cellule deputa­te al riassorbimento osseo. La presenza degli ACPA, oltre a essere direttamente correlata all’aggressività della malat­tia e a un maggiore grado di erosione articolare e danno radiografico, è inoltre associata a una maggiore inci­denza di comorbilità (in particolare di tipo cardiovascolare) che determina un incremento di mortalità generale tra la popolazione affetta da AR. Per questo motivo un’azione terapeutica precoce e mirata (in grado di agire sia sull’au­toimmunità che sull’infiammazione) risulta fondamentale per ritardare il decorso della patologia e migliorare le prospettive e la qualità di vita dei pazienti, spesso invece compromesse da una scoperta tardiva della malat­tia.

La valutazione precoce dei pazienti con test del FR e degli anticorpi ACPA consente di agire anche sui fattori di ri­schio e gli stili di vita, primo fra tutti il fumo di sigaretta. Un recente studio realizzato dall’Hôpitaux Universitaires Paris-Sud ha infatti dimostrato che, nei fumatori, l’essere stati esposti al tabacco precocemente a causa del fumo passivo respirato durante l’infanzia aumenta in modo significativo il rischio di svi­luppare l’AR. Inoltre, oltre a essere un fattore predisponente per l’insorgenza della malattia, il fumo, nei soggetti già affetti dalla malattia, è anche un fattore di rischio maggiore rispetto alle persone sane per lo sviluppo di infezioni respi­ratorie, tumori, patologie cardiovasco­lari. In particolare, le donne tra i 40 e i 50 anni sono le più vulnerabili alle complicanze cardiache, con una ridu­zione della sopravvivenza dai 3 agli oltre 10 anni. Per questo motivo, gli esperti suggeriscono di adottare alcuni accor­gimenti alimentari (ridurre il consu­mo di sale, grassi animali e zuccheri) per contrastare ipertensione, colesterolo e diabete. Condurre una vita attiva e dedicarsi a un moderato esercizio aero­bico, come camminare, è di grande aiuto per mantenere la mobilità e il trofismo dei muscoli. Sconsigliato in fase acuta di malattia, l’esercizio fisico è fortemente indicato nei periodi di remissione, in cui le articolazioni non sono infiammate.